martedì 14 febbraio 2012

Perché il potenziamento dell’apprendistato è insufficiente


Nelle ultime settimane sembra che sul tavolo negoziale tra associazioni datoriali, governo e sindacati si stia puntando sul potenziamento del contratto di apprendistato al fine di una sua maggiore e più capillare diffusione e per ridurre il ricorso a contratti “meno stabili” nelle assunzioni di nuovi lavoratori.
In realtà il rafforzamento dell’apprendistato è un’azione insufficiente sia per incentivare le aziende ad aumentare il numero di occupati sia per ridurre il numero dei lavoratori che ad oggi hanno contratti di collaborazione e/o a tempo determinato e quindi precari.
Perché il contratto di apprendistato non è un vero incentivo per le aziende a nuove assunzioni
Il contratto di apprendistato è un contratto temporalmente rigido. Non può essere interrotto (tranne che per giusta causa) prima della fine del percorso formativo. Per lavoratori con un alto livello di istruzione il periodo “rigido” è normalmente di 36 mesi. Durante il periodo di formazione non è possibile modificare la mansione del lavoratore se ragioni produttive/organizzative lo necessitano.
Durante il contratto di apprendistato il lavoratore guadagna meno di un altro lavoratore “normale” che fa il suo stesso lavoro e l’azienda ha un forte sconto (fino al 100%) delle spese contributive.
Il contratto di apprendistato è governato dalla contrattazione collettiva e gestito dalla Province territorialmente competenti. Ciò significa che le aziende possono utilizzare il contratto di apprendistato solo se previsto dalla contrattazione e soprattutto devono seguire iter autorizzativi a volte diversi a seconda della provincia in cui si intende attivarli (da circa 10 mesi il MLPS ha emanato una circolare per l'accentramento delle procedure ma molte regioni non hanno ancora aggiornato i sistemi).
Poiché oggi le aziende che operano in mercati competitivi e instabili, quando decidono di fare investimenti su nuovi prodotti/processi o sedi territoriali, non possono assumersi l’onere di sopportare una tale rigidità nel tempo e nell’organizzazione, esse preferiscono optare per contratti più flessibili. Quindi nella maggior parte dei casi l’occupazione incrementale (occupazione generata dalla crescita) non è assorbita dall’apprendistato ma dalle altre forme meno stabili di contratto di lavoro.

Perché gli attuali “precari” non verrebbero assorbiti dai contratti di apprendistato?

Le ultime statistiche, insieme all’esperienza quotidiana di chi lavora su questi fenomeni, dimostrano che l’attuale “stock” di lavoratori con contratti temporanei e parasubordinati verrebbe assorbito solo minimamente dal contratto di apprendistato ulteriormente incentivato. 
Come dimostrano diverse ricerche (fonte: lavoce.info) il 50 per cento di chi ha un contratto a tempo determinato ha più di 30 anni. Peggio ancora nel caso delle donne dove la media ha più di 35 anni. Si deduce che il contratto di apprendistato (che si applica solo a chi ha meno di 29 anni) non potrebbe riguardare questi precari.  Nel caso dei co.co.co, l'età mediana (vale a dire l'età al di sopra della quale troviamo il 50 per cento dei nuovi ingressi) è ancora più alta.

Infine bisogna notare come ormai lo “zoccolo duro” del precariato è costituito da lavoratori con esperienze di lavoro consolidate che hanno una storia professionale di numerosi contratti a tempo con diverse organizzazioni e datori di lavoro.

Una ipotesi di soluzione per le aziende in sviluppo e che creano occupazione e le persone in condizioni “precarie” dal punto di vista lavorativo

In base all’esperienza che si sta facendo del mercato del lavoro in Italia, una soluzione praticamente percorribile dei problemi di “incontro” tra domanda e offerta di lavoro “stabile”, potrebbe essere quella sviluppata dal disegno di legge Nerozzi e dai professori del sito lavoce.info e cioè del cosiddetto contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Questa ipotesi di contratto è nella sostanza un contratto fin dal primo giorno a tempo indeterminato. Sono previste 2 fasi: la fase di inserimento e la fase di stabilità. Nella fase di inserimento (p.e. 3 anni), l'impresa ha la possibilità di interrompere il contratto di lavoro per ragioni economiche in cambio di un indennizzo economico che aumenta all’aumentare della durata del rapporto di lavoro.
In questo modo, le aziende che realmente sono in condizione di generare occupazione possono assumersi dei rischi di investimento “certi” eliminando invece tutti gli effetti dissuasivi generati dai rischi di contenzioso o comunque connessi a processi complessi di licenziamento collettivi o individuali.
Dall’altra parte l’introduzione di questo tipo di contratto (accompagnata da forme di disincentivo al ricorso di contratti a tempo determinato non stagionali) permetterebbe l’estensione agli ormai milioni di lavoratori precari indipendentemente dall’età e senza gravare sulle casse dello stato in quanto non è prevista decontribuzione né l’intervento di strutture burocratiche come gli uffici delle Province e degli enti locali.


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