Intervista a Rosario Izzo (Libero del 20 gennaio 2012)
Nonostante il momento possono permettersi di dire di “no”.
Sono ricercati, desiderati, preziosi. Non è una categoria, sono i laureati in
informatica. Come racconta a LiberoLavoro Rosario Izzo, direttore delle risorse
umane di Infocert e della sua controllata Klever. La società progetta, sviluppa
e fornisce soluzioni informatiche per imprese, amministrazioni e
professionisti. Dalla posta certificata al settore della gestione documentale,
il business a cui si dedicano queste aziende è in crescita tanto che nel 2011
il fatturato della sola InfoCert è cresciuto <del 30 per cento>.
Izzo, con il fatturato è cresciuta anche l’occupazione
aziendale? L’Ict è un settore che persino oggi permette di assumere?
Consideri che il 50 per cento dei nostri dipendenti ha
un’anzianità aziendale inferiore ai 3 anni. Oggi siamo in 180, tra Infocert e
Klever. La nostra è stata una crescita esponenziale, veloce. Solo nel 2011 la
nostra popolazione interna è cresciuta del 15 per cento nelle sedi di Roma,
Milano e Padova.
Ora vi siete fermati?
No, anzi. Nello specifico siamo alla ricerca di circa 5
professionisti per la sede Milanese.
Quali requisiti ha il vostro candidato ideale?
Giovane, laureato in informatica, ingegneria informatica o
comunque lauree scientifiche. Ultimamente abbiamo scoperto con successo le
potenzialità nel nostro campo di chi ha studiato matematica o fisica a livello
universitario.
Primeggia chi ha ottenuto il voto più alto?
Non solo. Il voto è predittivo dell’impegno che la persona è
in grado di spendere. Ma soprattutto è importante la motivazione. Il
neolaureato spesso vuole fare da subito il project manager, non programmare. La
programmazione è un lavoro impegnativo, metodico, preciso. E in alcuni casi il
giovane non è certo di volersi dedicare a un lavoro come questo, pur
importantissimo.
Eppure il momento non sembrerebbe il più opportuno per
rifiutare un lavoro...
Il laureato in materie informatiche sa di aver più possibilità
di scelta di giovani della sua età. I giovani che si dedicano a questi temi
sono pochi e molto difficili da reperire sul mercato, perché molto richiesti.
Per questo stiamo effettuando una forte campagna di comunicazione sui social
network come Twitter e Linkedin, così da farci conoscere.
Di quali contratti vi avvalete in fase di assunzione?
Al termine del tirocinio, o assumiamo a tempo determinato per
poi trasformarlo a indeterminato dopo 12 mesi o attraverso lo strumento
dell’apprendistato di 36 mesi.
Come giudica quest’ultimo?
L’apprendistato va sicuramente migliorato. La rigidità principale
contro la quale ci scontriamo è che non è possibile interrompere il percorso per
ragioni organizzative prima dei tre anni. Il nostro è un business tale che se
si decide di investire in una data tecnologia è necessario almeno nella fase
iniziale restare flessibili. Quando si fa innovazione non è possibile avere
certezze sulla buona riuscita di questo investimento di conseguenza se per
sviluppare la tecnologia non posso che affidarmi a giovani apprendisti,
rifletto due volte prima di iniziare, perché so che per tre anni avrò una
struttura rigida, anche se l’investimento non dovesse andare a buon fine.
Quei tre anni rappresentano una tutela...
Certo, giusto. Ma perché non pensare realmente a contratti in
due fasi? Una prima fase per esempio di
36 mesi in cui è possibile risolvere il contratto con un congruo indennizzo e una
seconda fase classica a tempo indeterminato. Non penso che si vada incontro a
una precarizzazione ma al contrario a una reale flessibilità. L’apprendistato
oggi è perfettamente applicabile solo a grandi aziende. Come Fiat, dove ho
lavorato in passato. Ma non è tarato su aziende medie e in forte crescita come
la nostra.
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