
lunedì 27 luglio 2015
martedì 14 aprile 2015
Gestione del talento, meritocrazia e contesto familiare
Su "Affari & Finanza" di ieri 13 aprile 2015 ho trovato molto interessante la pubblicazione di una ricerca commissionata da Manageritalia sul tema della gestione del talento nel nostro Paese.
In particolare ha colpito la mia attenzione la pubblicazione della tabella che ho riportato sopra.
Il "vero talento" è: flessibilità mentale, intelligenza vivace, visione d'insieme e capacità propositiva... peccato che poi i contesti organizzativi tramite processi, procedure e organigrammi non lasciano spazio all'esercizio di queste virtù... per questa ragione a volte penso che i veri talenti non stanno nelle aziende... ma poi scaccio velocemente questi pensieri... (meglio).
L'altro dato che a me pare sorprendente è la funzione prioritaria affidata al contesto familiare nel favorire lo sviluppo del talento... Mi piacerebbe tantissimo fare un confronto su questo tema con altri paesi. In Italia a mio avviso stiamo assistendo all'affermarsi di un ruolo della famiglia sempre più "supplente" rispetto ad altre istituzioni. Mi viene da pensare per esempio alla scuola dove sempre più i genitori vengono coinvolti nella istruzione di base dei ragazzi.
Una società come quella italiana dove il contesto familiare costituisce di nuovo la risorsa principale per lo sviluppo personale (anche del talento) mi spaventa perchè rappresenta una dinamica non meritocratica e perchè rafforza le disuguaglianze sociali.
lunedì 23 marzo 2015
love your work
Pubblico l'abstract dell' intervento che terrò alla conferenza del 20 aprile 2015 a Bari organizzata dall'Università e dashumankapital.com
Amare il
proprio lavoro non è più soltanto l’aspirazione legittima di ogni lavoratore.
Far sì che i propri collaboratori amino il proprio lavoro è diventato anche
l’obiettivo che si stanno prefiggendo sempre più aziende. Non è passato tanto
tempo dalla “scoperta” delle relazioni umane nei luoghi di lavoro (Hawthorne
1927) per arrivare all’affermarsi di concetti quali l’importanza del clima
aziendale, della partecipazione e della motivazione dei lavoratori. Oggi siamo
entrati in una fase nuova, per certi versi estrema. Una fase in cui si arriva a
desiderare che i propri dipendenti “amino” il proprio lavoro. Non è un nuovo
“buonismo” o una “pia illusione”. Alle aziende “conviene” che i propri
collaboratori sviluppino un elevato senso di appartenenza ed identificazione e
coerentemente fanno investimenti per raggiungere l’obiettivo. Questo spiega
perché tanti casi di successo di gestione dello human capital possono essere
letti e interpretati utilizzando schemi inconsueti per le discipline puramente aziendali
ma più consoni ad altri sistemi sociali quali le organizzazioni no profit, i
partiti e le associazioni. I sistemi
gestionali cambiano necessariamente: le aziende selezionano e motivano persone
in grado di integrarsi, persone ambiziose che siano disposte a sposare gli
obiettivi aziendali e che si sviluppano insieme al proprio team da cui la
propria carriera non prescinde. Persone
di cui è diventato più rilevante quello che pensano rispetto a quello che sanno
fare.
venerdì 21 marzo 2014
Primo decreto Renzi sul lavoro
È uscito
oggi in gazzetta ufficiale il DECRETO-LEGGE 20 marzo 2014, n. 34 “disposizioni
urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la
semplificazione degli adempimenti
a carico delle
imprese” o più semplicemente primo passo del jobs act del governo Renzi.
Premesso che
“Le
riforme del lavoro non creano occupazione ma l’occupazione la generano le
imprese e quindi una buona riforma rende il rischio di assumere più sostenibile
e quindi incentiva le imprese a rischiare (assumere di più)”, da una prima lettura del testo mi
sembra di poter dire prudentemente che siamo sulla strada giusta…. vediamo perché:
- L’eliminazione del requisito della causalità dai tempi determinati cancella un procedimento burocratico che non tutelava nella sostanza nessuno e che aveva l’effetto soltanto di aumentare il rischio del contenzioso legale e quindi disincentivare l’instaurazione di nuovi rapporti di lavoro. Con questo tipo di intervento finalmente si creano le condizioni di una maggiore correlazione tra reali fabbisogni delle aziende e piani di sviluppo occupazionali su un orizzonte temporale di almeno 3 anni. È evidente che nel caso auspicato di un consolidamento e di un successo dei piani aziendali, sarà interesse della stessa azienda stabilizzare i contratti temporanei al fine di salvaguardare gli investimenti di formazione e sviluppo sulle persone. È ancor più evidente che nello specifico ciclo economico/produttivo in cui ci troviamo, questo provvedimento evita alle aziende che ipotizzano una crescita, di irrigidirsi negli organici e quindi le rende più disponibili ad accrescere il numero dei lavoratori avendo più certezza dei costi e minori minacce da parte di ricorsi distorsivi alla magistratura.
- La possibilità di prorogare fino ad un massimo di 8 volte il contratto a tempo determinato entro il limite di 3 anni (sulla stessa attività lavorativa), è un altro intervento positivo in grado di spingere le aziende a portare il cuore oltre l’ostacolo e quindi a generare più occupazione dipendente. Di fatti le facoltà di proroga danno la possibilità di flessibilizzare gli organici conformandoli alle effettive necessità previsionali e incentivando gli investimenti che generano occupazione.
- La semplificazione dei contratti di apprendistato era da tempo auspicata. In particolare la eliminazione dalla obbligatorietà del ricorso alla offerta formativa pubblica sana una distorsione spesso poco utile nei contenuti (corsi) e soprattutto molto onerosa dal punto di vista della gestione burocratica da parte delle aziende. Anche questo intervento mi pare che vada verso una riduzione degli adempimenti, una riduzione dei rischi di contenzioso e di conseguenza incentiva maggiormente le aziende ad assumere.
Per quanto riguarda
tutte quelle posizioni avverse, a mio avviso ideologiche, che ritengono che una
aumento della flessibilità in ingresso significhi “sempre” un aumento della
precarietà, bisogna invece rispondere portando la riflessione sulla specificità
del ciclo produttivo in cui ci troviamo e sulla situazione occupazionale attuale.
Con il presente alto livello di disoccupazione infatti maggiore flessibilità in
entrata significa maggiore possibilità di occupazione a fronte di una crescita
di investimenti. La Legge Fornero, che
aveva il pomposo obiettivo di plasmare "un mercato del lavoro inclusivo e dinamico,
in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e
qualità" è rimasta una dichiarazione di principio, non seguita da
risultati concreti. La Fornero, con la complicità della Cgil, si era basata
sull'assunto “errato” e solo teorico che per creare occupazione stabile, era
necessario irrigidire la flessibilità in entrata dei contratti di lavoro*.
Speriamo
quindi che il percorso in parlamento non snaturi questo primo provvedimento….
*la fonte del corsivo è Giorgio Giva ex responsabile delle relazioni industriali di Fiat Auto da cui nel mio piccolo ho imparato molto
*la fonte del corsivo è Giorgio Giva ex responsabile delle relazioni industriali di Fiat Auto da cui nel mio piccolo ho imparato molto
domenica 1 dicembre 2013
PIL trimestrale italiano e disoccupazione giovanile
Gli ultimi dati ISTAT continuano a fotografare la situazione
drammatica della disoccupazione giovanile. Una generazione di italiani è senza
lavoro ma soprattutto una generazione non ha l’opportunità di formarsi per
diventare lavoratori “maturi” e competenti. Di fatti tutte queste persone non
stanno avendo la possibilità di imparare “lavorando” in una fase cruciale della
loro vita lavorativa. La conseguenza drammatica sarà che, anche se a breve l’economia
ripartirà e si spera ricomincerà a creare lavoro, queste persone saranno “fuori”
da questa ripresa perché non in possesso delle competenze e delle esperienze “adatte”
per le organizzazioni.
La realtà è diventata grave anche per i laureati. In modo particolare
per le lauree umanistiche e legali. Così come per il mercato del lavoro in cui
è evidente che la riforma fornero purtroppo non ha avuto effetti anti-crisi
occupazionale, anche per le università occorre ripensare seriamente ad una
riforma che colleghi studi e sbocchi lavorativi. Mi piange il cuore doverlo
dire ma non possiamo più permetterci scelte di studio mosse soltanto da
motivazioni “vocazionali” e/o culturali. Tutti dovremmo spiegare ai ragazzi (e
in modo particolare i professori) che si accingono a fare le loro scelte di studio
che oggi purtroppo non c’è tempo di scelte di passione ma che bisogna
orientarsi verso “titoli” che siano in grado di dare una occupazione e che
mettano in grado di percepire un reddito.
Senza scomodare teorie macroeconomiche, possiamo renderci
conto tutti che il nostro sistema sociale si regge su un patto tra chi produce
reddito e chi lo ha in passato prodotto o che a breve lo produrrà. Questo patto
rende possibile i servizi pubblici, lo stato sociale, la scuola, la sanità e
tutto ciò che la società offre a ogni cittadino e a cui noi ci siamo abituati
come una realtà immutabile. Con una generazione che non è in grado, non per sue
responsabilità, di generare reddito il sistema rischia di deflagrare.
Sarò provocatorio ma forse è il caso di spiegare a chi si
appresta a fare delle scelte di studio o in genere professionale che diventare
generatori di reddito non è solo un diritto ma anche un dovere di cittadino.
martedì 18 giugno 2013
martedì 21 maggio 2013
Purtroppo anche con questo governo non vedo prospettive positive per il rilancio della occupazione…
Dopo una serie di annunci sembra che finalmente il nuovo ministro
Giovannini abbia chiarito gli interventi che vuole attuare per rilanciare l’occupazione.
Spero di sbagliarmi ma credo che non avranno effetti significativi.
Spero di sbagliarmi ma credo che non avranno effetti significativi.
Prima di tutto resto ancora perplesso sul fatto che ancora i
ministri del lavoro perseverano a non confrontarsi con chi operativamente
sviluppa e gestisce le assunzioni nelle aziende e cioè gli HR manager mentre
continuano a sentire soltanto le “parti sociali”.
Da quello che leggo sui giornali il Ministro intende in sintesi:
-
Favorire l’apprendistato
-
Semplificare il contratto a termine (in pratica
tornare ad una situazione ante Fornero)
-
Favorire il ponte generazionale
In realtà l’apprendistato, al netto degli sciagurati effetti
del titolo quinto della costituzione, ed è sulle differenziazioni regionali che
si dovrebbe intervenire, va benissimo così. Già adesso è possibile modificarlo
con gli accordi integrativi aziendali e renderlo più adatto alle esigenze
specifiche delle aziende. Tuttavia come è stato ampiamente dimostrato, l’apprendistato
non assorbe l’enorme stock di parasubordinati over 30 che in Italia si sono
generati. La riforma Fornero ha giustamente sfavorito il ricorso alla
flessibilità negativa di tutti quei contratti che autonomi non sono. Ma non ha
offerto una valida alternativa. Chi ci pensa a tutti i lavoratori espulsi dalla crisi ma professionalizzati?
Le riforme del lavoro non creano occupazione. L’occupazione
la generano le imprese. Una buona riforma rende il rischio di assumere più
sostenibile e quindi incentiva le impese a rischiare (assumere di più). Nella attuale
situazione economica del paese non si scappa: bisogna introdurre forme contrattuali
a “tutela indennitaria” che sostituiscano tutte le forme false di flessibilità
ma allo stesso tempo rendano “certo” economicamente le rescissione per motivi
oggettivi.
Sulla idea di tornare alle precedenti regole del tempo determinato
credo sia un dietro front utile e auspicabile in questa congiuntura. Credo sia
anche necessario eliminare definitivamente l’obbligo della causale che nella
sostanza non garantisce il lavoratore ma è solo fonte di contenzioso.
Il ponte generazionale può essere un percorso che può trovare
qualche applicazione nelle grandi banche o in altre organizzazioni simili. Ma nella stragrande maggioranza delle aziende non lo vedo applicabile.
La vedo
dura però convincere un lavoratore anziano a diventare part-time alla fine della
carriera con magari un figlio in cerca di occupazione o con un membro della
famiglia in difficoltà.
In questo periodo chi ha un contratto di lavoro se lo
tiene strettissimo…
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