Credo sia arrivato il momento di mettere seriamente in discussione il Curriculum Vitae come strumento adeguato a presentare professionalmente una persona. Non mi riferisco al modalità o al formato (cartaceo, facecv, social network, videocv, formato europeo, etc) ma al modello culturale e professionale di riferimento del CV. Il CV è una forzatura della realtà, una visione distorta e strabica di una persona: di fatti, proprio come nello strabismo, il CV porta alla perdita di profondità, forza le distanze facendo apparire oggetti lontani o vicini quando non lo sono nella realtà.
Il CV è il portato di una visione dello sviluppo professionale artificiosa, conseguente alla applicazione dei principi del fordismo anche ai processi umani. Di fatto i CV sono sequenziali, non ammettono incoerenze nemmeno apparenti. Non è ammissibile un CV senza miglioramenti né ampliamenti di responsabilità nel corso del tempo. È in effetti la trasposizione economicistica dello sviluppo progressivo e permanente allo sviluppo professionale. Il cv non ammette ripensamenti né distrazioni, non è possibile che qualcuno possa ritornare sui propri passi per approfondire una esperienza o semplicemente per ricominciare. Non c’è spazio per la sperimentazione perché sarebbe letta negativamente come discontinuità. Il CV misura il tempo che scorre solo in avanti e che appare intrinsecamente come una corsa in velocità: le tappe vanno percorse il più velocemente possibile.
Chi “lavora con le persone” allora deve fare attenzione seriamente al “mito distorto” del CV. Esso è il mito che porta ad assumere o a far crescere manager con cv eccezionali e iper-specializzati perdendo di vista che la specializzazione è un sapere “povero” se confrontato alle capacità. È lo stesso mito che privilegia CV “veloci” che hanno bruciato tutte le tappe ma assolutamente inesperti perché l’esperienza, ce ne siamo dimenticati, non può prescindere dal tempo e dalla riflessione. L’esperienza è un processo di accumulazione e non un percorso di velocità.
Il mito distorto del cv è diventato tale perché basandosi sulla illusione della razionalità intrinseca degli strumenti ha fatto perdere di vista il giudizio sul merito e sui fini. Di fatti il cv strabicamente riduce tutta la complessità delle aspirazioni e delle motivazioni personali al solo percorso di carriera. Svilisce le relazioni umane, i valori personali e i sentimenti. In ultima istanza attua una netta separazione tra vita e professione, per questo induce in errore perché apre il fronte alla rivalsa che la vita personale con tutto il suo bagaglio di valori, comportamenti, aspirazioni, sta già preparando subdolamente nei confronti della organizzazione.
Per superare i limiti del cv bisogna sostituirlo con la storia professionale.
Nella storia professionale devono trovare spazio i perché, i come e i “con chi”.
I soggetti devono descriversi con percorsi reali e quindi complessi. Descrivendo gli andirivieni, i ripensamenti e quindi i percorsi circolari.
Questo perché la maturità in generale, quella professionale non fa eccezione, si acquisisce spesso ritornando sui propri passi, e le contraddizioni non sono un tabù (come nel cv) e ritornano ad essere il fattore scatenante della crescita umana.
Il cv deve essere messo in discussione perché le aziende oggi hanno bisogno di persone con caratteristiche tali per cui il modello cv non è più lo strumento confacente.
Le organizzazioni cercano persone in grado di integrarsi, persone ambiziose che siano disposte a sposare gli obiettivi aziendali e che si sviluppano insieme al proprio team da cui la propria carriera non prescinde.
Persone di cui è diventato più rilevante quello che pensano rispetto a quello che sanno fare.